Tradizioni locali:
Carnevale e Maschere a Vasto
(Canti, balli e maschere)
 
Lu Carnevàle
di Giuseppe Tagliente e Fernando D'Annunzio
Devono essere proprio tristi i tempi che viviamo se non si trova più la voglia ed il tempo per festeggiare come una volta il Carnevale.
Sarà l'effetto della crisi economica, della disoccupazione od anche della rarefazione delle
istituzioni che erano tradizionalmente deputate all'organizzazione di questi eventi a
cominciar dalle parrocchie, ma sta di fatto che sono letteralmente scomparsi i tradizionali
rituali carnascialeschi.
S'è perduta, nella situazione di quaresima psicologica ormai non più ristretta ai canonici
quaranta giorni, la capacità di ridere, soprattutto di se stessi, ed il gusto per la mascherata,
per il rovesciamento dei ruoli, per la caricattua.
Una volta c'erano le sfilate dei carri allegorici oppure, andando ancor più a ritroso nel tempo,
La Cavallerejje*, Lu Bballe mîte, lu Carnevàle Morte**.
 
La Cavallerejje:
"Brillanti riescono i dì maggiori del carnovale per veglie in Teatro, per festini domestici e per mascherate, le quali in pantomima vanno ripetendo negl'incontri delle strade e nelle largure qualche fatto storico o mitologico. Costumano i nostri vetturali vestirsi alla turca, e
galoppando a cavallo fendere con sciabola di legno i polli disposti penzoloni lungo le strade
".
C0sì Luigi Marchesani tratteggia nella sua "Storia di Vasto" i festeggiamenti in uso durante il Carnevale e soprattutto "La Cavallerejje", ll gran corteo a cavallo inscenato ad iniziativa delle famiglie, dei viaticali e dei vetturali che percorreva le strade del centro per concludersi con una spettacolare quanto originiale giostra cavalleresca sulla piana dell'Aragona (l'attuale piazza
Rossetti) consistente nel colpire con una spada di legno assegnata a ciascun partecipante una sequela di polli vivi appesi lungo il percorso. La prova d'abilità si concludeva con un sontuoso banchetto nel quale venivano ovviamente servite le spoglie dei poveri pennuti.
 

* La cavallarè (la Cavalleria): Ho ritrovato uno scritto di, mio padre, Gennaro Spadaccini**
che descrive una delle feste più apprezzate dai vastesi. Lo metto a disposizione di tutti i miei
concittadini (tramite facebook), Francesco Paolo, 30 maggio 2020.
A Vasto, prima della guerra, la categoria dei carrettieri era molto numerosa; iniziavano da
giovani a trattare coi cavalli (all'epoca non mancavano), quasi tutti facevano il servizio
militare nei Cavalleggeri e conservavano gelosamente la sciabola d'ordinanza.
La cavallarè consisteva in una sfilata per le vie della città di cavalieri in sella ai cavalli, ben
puliti e strigliati, con gli zoccoli anneriti con la fuliggine dei camini, i finimenti adornati con
fiori e nastri colorati.
Si notava una certa distinzione fra i cavalieri partecipanti, a seconda della famiglia di
appartenenza: Muratore, Lattanzio, Vinciguerra, … ciascuna con colori diversi.
Si riunivano nel cortile di palazzo D'Avalos; la sfilata iniziava con due tamburini seguiti dal
buffone di corte, poi veniva lu Ruà (alias Re 'Ndònie) e la Reggìna (alias la Cicilàlle), con abiti
regali e corona.
Due palafrenieri tenevano a briglia i cavalli della coppia reale e a seguire tutti i cavalieri.
Durante la sfilata si poteva assistere a piccole giostre equestri; il percorso era stabilito dagli
stessi cavalieri e si privilegiavano quelle vie dove abitavano le ragazze da marito.
Queste ragazze legavano un pollo penzoloni ad una corda tirata tra due finestre prospicienti.
Nella via dove c’erano i polli, i Reali si fermavano, i tamburini tamburellavano, il buffone si
esibiva in acrobazie.
I cavalieri, uno per volta, al galoppo e con la sciabola sguainata, cercavano di colpire il pollo,
ma la ragazza dalla sua finestra tirava la fune per portare il pollo più in alto e far mancare il
colpo al cavaliere. Fino a quando passava il suo pretendente e allora abbassava il pollo per
facilitargli il bersaglio.
Il pollo valeva come pegno simbolico d'amore fino alle nozze.
Si contavano fino a trenta, quaranta cavalieri, la folla assiepata ai lati della via assisteva alla
sfilata. Era una bellissima manifestazione che si ripeteva il lunedì pomeriggio, giorno prima
di Carnevale.

**da molti vastesi considerato maestro di «parlatura» dialettale vastese.
 
Lu Bballe mîte:
Il Ballo Muto consisteva in un gran ballo popolare che veniva eseguito, com'era consuetudine
in tutte le manifestazioni carnascialesche, da soli uomini, la metà dei quali vestiti da donna.
L'origine della danza, di cui si ha notizia soltanto attraverso documentazioni fotografiche che purtroppo non trasmettono le movenze nè l'eco delle melodie, sembra risalga, secondo una
versione che non ha però nulla di scientifico, alla fine del 1400 ed in particolare al tempo in
cui Federico d'Aragona cinse d'assedio Vasto al fine di sedare la rivolta contro la decisione
reale di dare la città in feudo a Innigo D'Avalos e per giunta con una rendita di mille ducati
l'anno a carico dei vastesi. L'idea del ballo muto venne in mente allora quando, espugnata la
Città, il Re pretese che i vastesi mettessero a disposizione le loro donne per un gran ballo in
piazza con i suoi soldati. Temendo infatti violenze nei confronti delle mogli e delle figliole i
vastesi inviarono baldi giovanotti camuffati con abiti femminili, ai quali venne raccomandato
di restar muti per evitare di farsi riconoscere.
In ricordo di quella beffa, che sfociò prima in una grande rissa e poi in un banchetto quando
arrivò il perdono del Sovrano venne appunto inventato e rappresentato negli anni a seguire
il ballo cosiddetto muto.
gruppo del Ballo Muto negli anni Quaranta
 
Lu Carnevàle Morte: Questa modalità di festeggiare il Martedì Grasso è piuttosto diffusa anche altrove e consiste nel celebrare un vero e proprio funerale. Un corteo mascherato composto da uomini travestiti da prefiche accompagna il carretto su cui viene sistemato il fantoccio che rappresenta il Carnevale e percorre le strade cittadine pronunciando ogni tipo di giaculatoria scherzosa ed irriverente.
Il funerale si conclude, come di consueto, con l'incendio del pupazzo davanti ad una folla festante.
** Una volta c'era pure la tradizione del "Carnevale Morto"!
Il giorno di carnevale, lungo Corso De Parma (l’antica Corsea) e in Piazza Lucio Valerio Pudente, si svolgevano lunghe battaglie a
suon di confetti, coriandoli e stelle filanti.
Antica consuetudine abruzzese piuttosto lugubre e ripugnante, importata dai mercanti baresi, era quella del carnevale morto.
Su un carretto sgangherato veniva sistemato un fantoccio fatto di
cenci e di paglia. Intorno c’erano il prete, il sagrestano e  varie maschere con lumi accesi e grossi campanacci.
Dietro il carretto, seguiva la moglie di carnevale, che addolorata
piangeva e si strappava i capelli per il marito morto. Tutt’intorno i monelli schiamazzavano e gridavano lagnosamente: “È morto Carnivale, e po’ po’ po’!”.
Antonio De Nino, nel suo libro “Usi e costumi abruzzesi, vol. II”, a tal proposito, annotava:
Si fa, inoltre, un carnevale di cartone, portato da quattro becchini con pipe in bocca e
fiasche di vino a tracolla
. Innanzi va la moglie di Carnevale vestita a lutto e piange, e
piangendo ne dice delle grosse
! Ogni tanto la comitiva si ferma; e, mentre la moglie di
Carnevale fa la predica
, i becchini fanno una tirata alla fiasca. In piazza poi si mette sopra
un rialzo il defunto Carnevale
;
e
, tra il rumore dei tamburi, gli schiamazzi della moglie e l’eco della moltitudine, danno
fuoco a Carnevale
”.
In alcuni paesi abruzzesi veniva messo un uomo in carne ed ossa all’interno di una cassa da
morto, che ogni tanto si rianimava attaccandosi al fiasco di vino,  seguito da un finto prete, con
tanto di acquasantiera e aspersorio, e alcune donne in lacrime, intente a gridare:

Carnivale, pecchè scì morte?

Pane e vine non te mancava;

La ‘nsalata tinive a l’orte:

Carnevale, pecchè scì morte?

Ed anche:
Carnivale, pirchè seì muorte?

La ‘nsalata tenivi all’uòrte:

Lu presutte tenivi appise:

Carnevale, puozz’ esse accise.

La versione vastese della mascherata aveva
una chiusura più serena.
Un pulcinella enorme, con un cuscino sulla
pancia, sotto i vestiti, a dimostrare il troppo
cibo ingozzato, messo su un cavallo bianco, andava verso l’imbrunire per la città gridando:
Chi te li maccarune d’avanze!
Ecche la panze! Ecche la panze!”
E poi aggiungeva:
Popolo di Vasto, statti bene!
Stanotte me ne vado!
Arrivederci st’altr’anno!”.
Il compianto Giuseppe Pietrocola, ricordava
che il corteo terminava al largo della fontana
dove un grosso fantoccio di paglia veniva
bruciato fra gli applausi dei parenti.
stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" in data 5 febbraio 2013

La Štorie:
È la modalità tipicamente meridionale di raccontare storie in versi ed in musica che a Vasto
trova ancora un suo spazio nel giorno del Carnevale.
Il cantastorie narra in rima accompagnato da una fisarmonica le vicende dell'anno appena
concluso, spaziando da avvenimenti locali ad altri di portata più generale.
La tecnica è quella consueta del castigat ridendo mores: un richiamo alla vicenda presa in
esame cogliendone possibilmente gli aspetti più grotteschi e quindi il commento sarcastico
in una battuta secca, šcattàte com'è nell'indole dei vastesi.
L'esecuzione della "Štorie" in un Carnevale degli anni Settanta.
Al centro della foto, tra i seduti, troneggia Nicola Giangrande
, indimenticabile
interprete, per molti anni, ed organizzatore di questa sceneggiata carnevalesca
.
La tradizione è stata ripresa, poi, dopo circa 9 anni, nel 1995 e
continua ancora oggi, da Fernando D'Annunzio che tratteggiava gli
avvenimenti in senso estremamente pungente, ma sempre bonario.

Piétte e dîgge di Carnevàle:
Il Carnevale precede il Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima e quindi dell'astinenza
dalla carne (almeno una volta era così). È consuetudine pertanto festeggiare il Carnevale con pietanze e dolci che certamente non si conciliano con l'alimentazione consigliata ad un diabetico.
Nella tradizione culinaria vastese del Carnevale dominano:
li graviùle, i ravioli, che devono avere però, a differenza di quelli di più largo e commerciale consumo, la particolarità di essere fuori misura (gne nu fazzèule) e soprattutto dolci. Zucchero
e cannella non devono mai mancare nei ravioli di Carnevale che devono essere accompagnati
da un buon ragù di carne, possibilmente lasciata a sbuffare a fuoco lento dalle prime ore del
mattino;
le sagnitèlle, altro primo piatto tipico del Carnevale vastese, le sagnette, le fettuccine, che, venivano confeziotate a mano riammassando a mano e col mattarello sulla spianatoia
(la spianataure), i ritagli di pasta avanzati dalla preparazione dei ravioli;
la cicirchiàte, è il dolce tipico per antonomasia del Martedì Grasso, tarallo ottenuto
legando col miele dadini di pasta fritta. Fanno corona alla Regina dei dolci carnascialeschi
nostrani:
le chiacchiere, nastri di pasta fritta cosparsi di zucchero a velo;
le castagnole con o senza crema.
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2017

Anni Trenta
Carnevale a Palazzo D'Avalos a Vasto
Foto di gruppo a Palazzo d'Avalos, in un Carnevale del 1935.
Il primo da sinistra in basso è Cesario D'Erme; il secondo è Forte (Bascette); il quarto è Nicola Ferrara; alla fisarmonica Cupaioli e alla chitarra Ciancio (Ballarèine). Seduto al centro il tipografo ed editore Guzzetti. In alto, davanti alla grata, è il fornaio Monteferrante (Paparìlle).
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2007
 
Lu Bballe mîte (Il Ballo muto)
Non c'era Carnevale sino a qualche decennio fa nel quale non usasse eseguire il cosiddetto
Ballo Muto
L'origine della danza risale, secondo la leggenda, al tempo in cui Federico d'Aragona (intorno al 1500), concesse Vasto in feudo a Innigo d'Avalos, assegnandogli anche una rendita perpetua di
mille ducati l'anno, a carico della città.
Si racconta che, non tollerando quella tassa, i vastesi si ribellarono e costrinsero il Re a muovere contro di loro con l'esercito.
Dopo qualche giorno d'assedio tuttavia la città capitolò e Federico, anche allo scopo di umiliare
i cittadini, decretò grandi festeggiamenti ed un ballo generale in piazza.
Ma non aveva fatto evidentemente i conti con i vastesi, i quali temendo per le loro donne, che rinchiusero in casa, pensarono di formare le coppie per le danze in maniera davvero insolita, camuffando prestanti e muscolosi popolani da "gentili" donzelle, alle quali fu data la consegna
di non aprire mai bocca per non farsi riconoscere.
Quel che ne seguì è facile da immaginare quando la soldataglia avvinazzata fece qualche poco galante avance nei confronti delle "signorine".
Il Re, che doveva essere uomo di spirito, però non ne se curò più di tanto ed anzi rise di gusto
della trovata e perdonò i vastesi, i quali da allora in occasione del Carnevale tornarono a
danzare lu bbuàlle m'ite, a ricordo dell'avvenimento.
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2012

Anni Quaranta
Gruppo mascherato
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2012
 
Festa di Carnevale
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2019

1942 - Lu Bballe mîte (Il Ballo muto)

1948 - Lu Bballe mîte (Il Ballo muto)
Era la danza di carnevale. Il corpo di ballo era costituito da 16 coppie (le dame erano uomini
vestiti con abiti femminili).
La musica rendeva possibile realizzare dei quadri figurativi per complessive otto figure scenografiche per la durata di 20 minuti.
Luigi Pracilio (maestro muratore) dirigeva Lu 'bballe mîte che si esibiva nei quartieri o nei
pressi dell'abitazione delle fidanzate dei protagonisti.
I più assidui ed affezionati organizzatori erano:
- Vincenzo Cupaioli e Gino Malatesta (con fisarmonica);
- Gaetano Ciancio detto Ballarène;
- Angelo Miscione
(con chitarra);
- Nicola Del Prete (con mandolino).
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2004

1950
Carri di Carnevale
 
Festa di Carnevale
organizzata negli anni '50 dalla Salto
(Soc. Anon. Lav. Tabacchi)

1960 - Carri di Carnevale
Il carro di Pulcinella in piazza L.V. Pudente - Vasto (foto F.lli Di Marco)

1966 - Carnevale: La Repubblica Studentesca
E' il 1966 e le foto sono state scattate nel cortile di Palazzo d'Avalos - Vasto, alla vigilia di un carnevale.
I ragazzi, che avevano dato vita proprio in quell'anno alla Repubblica Studentesca, una
associazione che ebbe persino una sede ed un giornalino, sono quelli degli anni Sessanta, con
la loro straordinaria voglia di vivere e di cambiare la società.
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2009
 
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2015
 
1973 - Lu Bballe mîte (Il Ballo muto)
C'era una volta il "Ballo Muto".
Si organizzava a Carnevale per le vie della città. (Era veramente bello vedere questi ballerini muoversi in perfetta sincronia!)

Il cooperatore salesiano Ezio Pepe per lunghi anni ha cercato di tener vive le belle tradizioni
della città, spesso coinvolgendo i giovani della parrocchia.
Nella foto a sinistra c'è Mastro Gino Pracilio, noto organizzatore di tale specialità per lunghi
anni a partire dal secondo dopoguerra.
I ballerini sono i ragazzi dell'ACR dei
Salesiani organizzati da Ezio Pepe.
stralcio da art., a firma Nicola D'Adamo, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" in data 5 febbraio 2010

1994 - Lu Bballe mîte (Il Ballo muto)
Un gruppo di "animatori" della Parrocchia San Giovanni Bosco, ai tempi di don Giovanni Molinari.
Il gruppo – costituito da 16 coppie - era stato istruito al BALLO MUTO da Ida Pepe che aveva appreso l’arte sempre da Mastro Gino Pracilio, con l’ausilio del fisarmonicista il Sig. Ricchezza. Nell’occasione il ballo era stato “portato” in diversi luoghi della città (Piazza della Repubblica, Piazzale dell’Ospedale, Piazza Rossetti, Casa di Riposo di S. Onofrio. Infaticabile organizzatore
Ezio Pepe che concludeva il giro sempre tra i vecchietti di S. Onofrio, portando per qualche ora
riso ed allegria, musica e balli.
stralcio da art., a firma Nicola D'Adamo, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" in data 5 febbraio 2010
 
Tra le varie tradizioni carnascialesche vastesi di un tempo, molto seguito e apprezzato era:
Lu Bballe mîte” (Il Ballo muto)
una specie di quadriglia, ben strutturata che veniva ballata a suon di organetto da un gruppo
di soli uomini, alcuni di quali vestiti da donna.
Questa tradizione, sin dal dopoguerra, è stata tenuta viva per tanti anni prima da Mastro Gino Pracilio, e successivamente da
Ezio Pepe (Zì Culucce), che l’ha riproposta anno dopo anno,
con il coinvolgimento dei giovani della parrocchia dei Salesiani, fino al 1994.
L’ultima edizione portata in giro per la città, è stata quella del 1995, in un certo senso un
omaggio al compianto Zì Culucce, scomparso solo qualche settimana prima, grazie alla regia
di Ida Pepe, che ha pazientemente istruito le sedici coppie di ragazzi, seguendo
minuziosamente i passi tramandi dell’antica tradizione.
Tappe fisse del Ballo muto erano: Piazza della Repubblica, la Casa di Riposo di Sant’Onofrio,
il piazzale dell’Ospedale
, Piazza Rossetti e davanti la Cattedrale di San Giuseppe
stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" - febbraio 2013

1999 - Carri di Carnevale

2008 - Carri di Carnevale

2010 - Carri di Carnevale

2012 - Carri di Carnevale

La Canzáune di Carnivále
E' una vecchia filastrocca che una volta si cantava ai bambini proprio a Carnevale
Carnivále ni štéve bbéune, si magnàve nu páre d'éuve
- Chi l'ha fitàte?
- Chi l'ha ciuppucàte
?
- Addó štá lu hardijáne
?
- Addó štá li láine
?
- Addó štá lu féuche
?
- Addó štá l'àcche
?
- Addó štá la vacche
?.
..La hallina ciuppucàte.
..Lu hardijáne di la selve.
..E jiùte a ffá li láine
.
..L'àjje màsse a lu féuche
.
..L'ha štutéte l'àcche
.
..Si l'ha vávete la vacche
.
..E' jiùte a la mundàgne e ariporte
:
 
......Nuce, nucèlle, cumbitt'e castagne.
..
E' jìute a la marëine e ariporte:
......
Nuce, nucèlle, cumbitt'e quatrëine.
Nisce, nisce, nisce, sotto a ... Niculine, ci štá tre turnisce.*
Traduzione:
Carnevale non stava bene s'è mangiato un paio d'uova
- Chi le ha fatte?
- Chi l'ha azzoppata?.
- Dov'è andato il guardiano?
- Dove sta la legna ?
- Dove sta il fuoco ?
- Dove sta l'acqua?.
- Dove sta la vacca?.
..La gallina zoppa.
..Il guardiano della selva.
..È andato a far la legna.
..L'ha bruciata il fuoco.
..L'ha spento l'acqua.
..L'ha bevuta la vacca.
..È andata in montagna e riporta:
  ......noci, nocelle, confetti e castagne.
.. È andata al mare e riporta:
...... noci, nocelle, confetti e quattrini. 
Cerca, cerca, cerca, sotto a... Nicolino, ci stanno tre tornesi.
*Turnisce: Tornese. Moneta di rame del valore di mezzo soldo usato nel Regno dì Napoli al tempo dei Borboni.
 
Il Carnevale rappresenta un’occasione di divertimento che si esprime attraverso
il travestimento, le feste in maschera, .il ricordo delle tradizioni
antiche e
anche in cucina attraverso le prelibatezze culinarie che ci hanno tramandato
.
La Canzáune di Carnivále
Vecchia filastrocca di Carnevale riportata dal Pisarri sulle pagine de Il Vastese d’Oltre Oceano, che si cantava ai bambini nel periodo di carnevale
I’ sacce na favulatte:
Martine nghi la rungiuàtte,
Martine nghi la pale
Dave mazze a Carnivale!

Carnivale ni’
števe bone;
s’ha magnate nu pare d’ove.
- E chi l’à fitate? .............- La hallina ‘cciuppicate
- E chi l’à ‘cciuppicate? . - Lu huardiane di la salve
- Addò è lu huardiane?...- E jute pi làine
- Addò
šta li làine? ....... .- À servute pi fèuche.
- Addò
šta lu fèuche? .. .. - L’à štutete l’acche.
- Addò
šta l’acche? ....... .- Si l’à bivute la vacche.
- Addò
šta la vacche? .... - E jute a la mundagne e ariporte nuce, nucelle e castagne.

stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" - 10 febbraio 2012

la Ciciricchiate, dolce tipico carnascialesco

A Carnevale si può fare anche a meno di una sfilata
di carri allegorici
,
ma di certo non si può rinunciare a
mangiare una buona ciciricchiata
. Vera prelibatezza
per  il palato
, ancora oggi questo dolce è molto diffuso
nelle case dei vastesi
, tramandato di generazione in
generazione
. La ricetta base può presentare alcune
varianti
, così come il procedimento di realizzazione e
la forma
, in alternativa a quella tradizionale circolare.


Il Carnevale
Il Carnevale è la festa liberatoria prima della Quaresima, ma è anche il commiato dall'inverno
ed il rituale che vuole esaltare il passaggio alla bella stagione. L'usanza di bruciare un fantoccio
di cartapesta in piazza ha appunto questo significato.
Grandi abbuffate di ravioli zuccherati, al sugo di carne ed abbondanti bevute sottolineano in
ogni casa la ricorrenza. Era consuetudine contare addirittura il numero dei ravioli mangiati e
farne vanto in famiglia e con gli amici.
Il dolce tipico carnascialesco è la Ciciricchiate, un tarallo formato da pallottine di pasta
dolce fritta legate insieme da miele caldo.
In piazza si canta "La Storie", stornelli in musica che commentano ironicamente i fatti
accaduti durante l'anno.
Il giorno successivo, ricorrenza delle Ceneri, era considerato sino ai primi del novecento
occasione per gite fuori porta ed era detto lu carnevalétte.
stralcio da il "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2003