Prov. di Pescara:
Scrittori
Gabriele D'Annunzio
Scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e, soprattutto, un patriota,
simbolo del Decadentismo italiano, del quale fu il più illustre rappresentante assieme a
Giovanni Pascoli
, eroe di guerra, soprannominato il Vate cioè "il profeta"
(Pescara, 12/03/1863 - Gardone Riviera, 01/03/1938)
 
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Motti dannunziani: I Motti di Fiume
Detti e parole d'ordine di un maestro di vita che hanno segnato un'epoca
stralcio dal tascabile economico Newton "Motti dannunziani" a cura di Paola Sorge - Newton Comton ed. S.r.l. - Roma - 1994





Gabriele D'Annunzio
Espressione di uno straordinario personaggio che ha dominato per cinquant'anni lo scenario letterario e politico del nostro Paese, i motti dannunziani ebbero, nel primo ventennio del secolo, un effetto prorompente sul popolo italiano. Antiche grida di guerra, frasi latine, iscrizioni di vecchi stemmi polverosi che d'Annunzio prese da un patrimonio comune, classico e rinascimentale, divennero gli slogan urlati durante la guerra e non solo servirono a infiammare gli animi di amor patrio, ma anche a sfidare apertamente, durante l'occupazione di Fiume, il governo e le istituzioni. Molte di queste frasi celebri passarono di peso nella retorica fascista. Gabriele d'Annunzio, nato a Pescara nel 1863, morto a Gardone Riviera nel 1938, esordì ancora quasi adolescente con la raccolta di versi Primo Vere, lo sua vastissima produzione poetica, narrativa, drammatica, tradotta in tutte le lingue, ebbe risonanza mondiale. Dopo la composizione delle Laudi, considerate la più alta espressione della sua lirica, divenne il «vate nazionale». Eroe della prima guerra mondiale, celebri furono il suo
«volo su Vienna»
«Beffa di Buccari»
poi,
«Comandante»
di Fiume, fu considerato a lungo un  
«maestro di vita».

Tieni duro
È la risposta alle domande poste ai legionari di Fiume e agli
italiani:
«Che ti dice la Patria?»
«Che ti dice la Gloria?»
«Che ti dice la Vittoria?».



Eja, carne del Carnaro, alalà
Variante «fiumana» del grido di guerra usato da d'Annunzio e dai suoi compagni nelle imprese più spericolate.
È questo il saluto che d'Annunzio rivolse agli «ufficiali di tutte le armi» prima della Marcia di Ronchi.
   
Moriendi insatiatus amor
Insaziato amore di morire
Parafrasi del latino: «Edendi insatiatus amor» (Insaziato amore di mangiare) che d'Annunzio scrisse nel primo messaggio inviato ai fiumani, alla vigilia della «Santa Entrata» - così venne chiamato solennemente l'ingresso del «Comandante» a Fiume.
A ferro freddo
Grido di battaglia, lanciato da d'Annunzio contro Francesco Misiano, deputato al Parlamento, che avversava la causa di Fiume e che tentò di entrare, nell'agosto del 1920, nella «Città di Vita» per sobillare la popolazione contro il Comandante.
D'Annunzio incitò i suoi legionari a dare la caccia al «traditore» e a infliggergli il castigo immediato, «a ferro freddo».

Arde e non luce -
perché non si spenga
Motto scritto in un cartiglio posto sotto una fiamma sovrastata da una corona di spine.


Colpire, ferire, abbattere
Grido di guerra ricamato sullo stendardo della Dalmazia donato da d'Annunzio ai «Dragoni rossi». Assieme al motto, l'immagine di tre fauci ferine che si spalancano per mordere.
Ardore - ardire
Le due parole sono per d'Annunzio in realtà una parola sola, «una sola essenza mistica come ROMA-AMOR».
Il Poeta le pronunciò durante una festa in onore dei legionari. Fiume è per lui la città ardente per antonomasia, l'Olocausta consumata dal fuoco.
Nec recisa recedit
Motto destinato alle «Fiamme gialle» - appartenenti alla R. Guardia di Finanza - che parteciparono alla impresa di Fiume e prestarono solenne giuramento di fedeltà alla causa fiumana.


Alere flammam
Alimentare la fiamma
Motto ricamato sul gagliardetto di seta delle «Fiamme cremisi» di Fiume costituito dall'VIII Battaglione dei Bersaglieri
ciclisti.
Ben 1600 bersaglieri entrarono trionfalmente a Fiume la mattina del 25 settembre del 1919, poco dopo l'occupazione della città da parte del «Comandante».
D'Annunzio considerò le «Fiamme cremisi» i «difensori di Fiume fino all'ultimo respiro».
Fiume o morte!
È il giuramento fatto dai Granatieri di Sardegna che nell'agosto del 1919 riconoscevano d'Annunzio come loro capo.
Per ordine del governo, i granatieri avevano dovuto lasciare Fiume con grande disappunto della popolazione in gran parte italiana. Quando alcuni di loro si decisero a disobbedire agli ordini e di partire ad ogni costo per Fiume. Non si fermarono nemmeno di fronte al fatto che d'Annunzio era con la febbre a 40 gradi. Ormai - come scrisse il Poeta a Mussolini - il dado era tratto.
Insorgere è risorgere
Motto di incitamento rivolto ai legionari dopo il blocco posto dal governo italiano a Fiume e titolo del terzo proclama scritto durante il «Natale di sangue».
Il 22 dicembre del 1920, nonostante la situazione disperata, il Comandante spera ancora di farcela, confidando che nessun combattente italiano avrebbe avuto il coraggio di colpire lui, l'eroe di Buccari e di Vienna.
Questa è l'ultima parola d'ordine che egli manda alla «Italia della Vittoria strangolata».

Dare in brocca
Ossia «imbroccare». Il motto è posto al centro di sette frecce dorate che colpiscono nel segno. È dipinto su una delle due macchine della Marcia di Ronchi, una piccola O. M. L'altra automobile con cui d'Annunzio entrò a Fiume il 12 settembre del 1919, una «501 Fiat» rossa, reca sulla carrozzerìa l'immagine della Santa Casa di Loreto.
I resoconti dell'epoca raccontano che la macchina del «Comandante» fu ricoperta da una pioggia di fiori fra il giubilo della popolazione.
 


Me ne frego
Il motto è ricamato in oro al centro del gagliardetto azzurro dei legionari fiumani.
Un motto «crudo», come lo definì il Poeta, tratto dal dialetto romanesco, ma a Fiume - disse il Comandante - «la mia gente non ha paura di nulla, nemmeno delle parole».
Il motto appare per la prima volta nei manifesti lanciati dagli aviatori della Squadra del Carnaro su Trieste.
Mori citius quam deserere Morire piuttosto che rinunciare
Motto donato da d'Annunzio ai legionari abruzzesi il 28 novembre del 1920, quando la situazione a Fiume era diventata ormai insostenibile.
Sul gagliardetto, l'immagine di un cinghiale.







Uno contro uno,
uno contro tutti
Motto degli Arditi, gridato durante le esercitazioni militari in truppe compatte che avvenivano sulla piazza principale di Fiume.
Per il Comandante, la piazza era come l'arengo degli antichi Comuni dove si celebravano le feste e si tenevano i discorsi.



Fatica senza fatica
Antica espressione toscana dell'epoca dei Comuni che d'Annunzio usò come motto. Inciso fra rami di lauro e sovrastato da una fiamma rossa, si riferisce ad una forma spiritualizzata del lavoro umano.
Il Comandante cita il motto alla fine del XIX Statuto della «Reggenza Italiana del Carnaro - Disegno del nuovo ordinamento dello Stato libero di Fiume», proclamata il 30 agosto del 1920, ed è riservato all'ultima delle dieci Corporazioni elencate nel documento. La decima Corporazione è quella riservata alle «forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento».
Si spiritus pro nobis,
quis contra nos?
Se lo spirito è con noi, chi
potrà andare contro di noi?
Parafrasi della frase biblica: «Si Deus pro nobis, quis contra nos?».
Il motto precede i 65 articoli della Carta del Carnaro presentata al popolo di Fiume la sera del 30 agosto 1920 al Teatro Fenice.
D'Annunzio fece ricamare il motto al centro del grande vessillo rosso della
«Reggenza del Carnaro», issato a Fiume nel settembre del 1920. Ora il gonfalone si trova nella «Stanza delle reliquie» al Vittoriale. Raffigura le sette stelle dell'Orsa racchiuse dal cerchio formato da un serpente d'oro che si morde la coda, simbolo dell'eternità.
Ferrum est quod amat
È il ferro che ama
Frase pronunciata dal «Comandante» in occasione della consegna del «pugnale votivo». Nel gennaio del 1920 le donne di Fiume offrirono infatti al Poeta un pugnale cesellato in oro e in argento come simbolo della ribellione e della resistenza. Era questa la loro risposta alla decisione di Francesco Saverio Nitti, allora capo del governo, di non cedere al colpo di mano compiuto da d'Annunzio.
«II ferro è l'estremo cuore del destino» commentò d'Annunzio dopo aver fatto affiggere ai muri della città dei manifesti contro «Sua Indecenza Francesco Nitti», soprannominato dal Poeta «Cagoia».


Indeficienter
Incessantemente
Si trova nello stemma che Leopoldo I concesse alla città di Fiume nel 1659, sotto un'urna che versa acqua perenne, sovrastata da un'aquila ad ali spiegate.
Secondo la leggenda, l'acqua di Fiume serviva a guarire tutti i mali.
«L'Urna inesausta» del vecchio stemma fu ripresa da d'Annunzio come simbolo della città occupata dai legionari e impressa sui francobolli della «Reggenza dei Carnaro».
Viva l'amore, alalà
È questo l'ultimo grido che d'Annunzio rivolse ai fiumani prima di lasciare la città. Il 7 gennaio del 1921 tenne il discorso di congedo dall'alto del balcone del Palazzo comunale, dopo aver pregato davanti alle tombe dei caduti del
«Natale di sangue». Il bilancio delle vìttime era una trentina di morti e un centinaio di feriti da ambe le parti.
D'Annunzio lasciò Fiume dopo pochi giorni a bordo della stessa macchina con cui era arrivato.


A noi!
Risposta alle enfatiche domande poste ai legionari durante la Festa di San Sebastiano, il 20 gennaio 1920:
«A chi la forza?» «A noi
«A chi la fedeltà?» «A noi
«A chi la vittoria?» «A noi
Ma alla fine di quello stesso anno, la domanda ai fedeli legionari cambiava: dopo il
«Natale di sangue» era svanito ogni entusiasmo, non c'erano che morti e feriti in una città «assassinata» sulla quale il Comandante non può che gettare un alalà funebre. E conclude:
«A chi l'ignoto?» «A noi


Italia o morte!
È il motto che ogni legionario portava impresso sul nastro a tre colori di Fiume: rosso, giallo e blu.
Titolo di un discorso tenuto da d'Annunzio nel giugno del 1919 per scuotere l'indifferenza degli italiani di fronte alla questione di Fiume, il grido fu ripetuto nel primo messaggio ai fiumani della vigilia della Marcia di Ronchi.
Non ducor, duco
Non sono guidato, guido
Motto dei legionari fiumani. È scritto in un cartiglio posto alla base di una ghirlanda di rami di quercia. Al centro campeggia il braccio di un guerriero che impugna la lancia.
In alto il ferro!
Il ferro è il pugnale affilato dei legionari di Fiume.
L'esclamazione è contenuta nel discorso che d'Annunzio pronunciò il 3 ottobre del 1919 a Fiume, diretto agli «Arditi», ossia ai soldati.
Viva Roma senza onta!
Saluto rivolto ai romani nel messaggio lanciato da due apparecchi del Comandante sulla Capitale il 20 settembre 1920. Ad un anno dalla occupazione di Fiume, il Poeta è più che mai convinto di trascinare tutta l'Italia dalla sua parte, dalla parte di Fiume e della Dalmazia italiana.
D'Annunzio ricorda il giuramento di fedeltà alla lotta per la causa di Fiume che ottenne dal popolo dopo il suo discorso a Piazza delle Terme del maggio '19.
In questo messaggio egli esprime la volontà di tornare a Roma a prendere le «novissime armi» che i romani gli daranno.
Un desiderio che Mussolini certamente non scordò conoscendo il pericoloso carisma che il Vate esercitava sulle folle.
La Marcia su Roma, due anni dopo, ebbe luogo in ottobre proprio per prevenire la celebrazione della Vittoria, il 4 novembre, a cui doveva partecipare d'Annunzio.
Fisso l'idea
È un altro dei motti pubblicitari del Vate.
Fu creato per gli inchiostri «Sanrival» nel novembre del '21.
Alla frase si accompagna il disegno di un uomo nudo visto di spalle, in ginocchio davanti ad una parete bianca dove scrive con una penna d'oca gocciolante di inchiostro. In una lettera, pubblicata dalla ditta, d'Annunzio ringrazia per «aver riempito così generosamente il mio calamaio disseccato». E manda in cambio una copia del Notturno trascritto in parte con il «nerissimo dono».
Anche durante gli anni del Vittoriale d'Annunzio non mancò di elargire pubblicamente lodi a ditte dolciarie o di agrumi.








Cosa fatta capo ha
Celebre frase dantesca usata da d'Annunzio per sancire la sua impresa divenuta dopo pochi giorni già leggendaria. Per il Poeta la parola «capo» ha il doppio significato di «principio» e di «comandante».
D'Annunzio fece disegnare per il motto, da Adolfo De Carolis, la figura di un nodo tagliato da un pugnale: rappresenta il nodo scorsoio che il presidente Wilson aveva messo intorno alla gola dell'Italia, stabilendo le umilianti condizioni di pace.
Il motto fu gridato dal Comandante il 12 settembre 1920 nell' annunciare che avrebbe inviato al Senato americano la nuova delibera del Consiglio di Fiume contro il Patto di Londra.








Hic manebimus optime
Qui rimarremo ottimamente
Così dicevano i legionari romani dopo aver conquistato una città e così ripetè d'Annunzio dopo aver ricevuto il comunicato ufficiale del Governo italiano che considerava l'occupazione di Fiume un atto «così inconsiderato come dannoso».
Il Comandante era convinto che nessuno avrebbe potuto smuoverlo dalla città in cui si respirava di nuovo il «vento eroico», a dispetto delle Grandi Potenze che negavano Fiume
all'Italia. Wilson affermava che la città era croata più che italiana; Lloyd George si atteneva al Patto di Londra che dava Fiume alla Jugoslavia; e Clemenceau in Francia, continuava a ripetere: «Fiume, c'est la lune!».
D'Annunzio fece incidere il motto sulla medaglia commemorativa di Fiume accompagnato dall'immagine di una selva di pugnali o da una colonna sovrastata da un'aquila.
La frase è ripetuta anche sulla medaglia con la testa di d'Annunzio disegnata dal pittore Guido Marussig.
Cum lenitate asperitas
Le difficoltà vanno trattate con dolcezza
Ecco uno dei motti creati da d'Annunzio per scopi pubblicitari, in questo caso per la ditta di profumi di Bologna, LEPIT, naturalmente dietro un ingente compenso.
Il Poeta non disdegnava le numerose offerte che gli piovevano dalle più note industrie italiane, come la SAIWA ad esempio, di cui elogiò le gallette non zuccherate, migliori per lui di quelle inglesi, o quella dell'amico abruzzese che produceva il Parrozzo, un dolce tipico di Pescara. Ma le sue «pubblicità» avevano sempre un certo stile. Come è noto, fu lui a dare ai grandi magazzini dei fratelli Bocconi il nome «La Rinascente», quando ancora era in guerra.
La proposta della ditta di profumi la ricevette mentre era a Fiume: «È ottima cosa inventare nuovi profumi in un'Italia che
fabbrica ogni giorno tanti cattivi odori», scrisse sarcasticamente nella lettera inviata alla ditta il 3 marzo del 1920. Per il motto fece eseguire da De Carolis, anche lui pagato - è il caso di dire - profumatamente, due xilografie: una raffigurante una donna nuda sulla quale piovono effluvi da un bruciaprofumi; la seconda con due mani che si aprono a ventaglio per ricevere la pioggia odorosa.
D'Annunzio dette anche il nome ai nuovi profumi creati dalla ditta, per i quali De Carolis disegnò eleganti ampolle in vetro di Murano. Ecco la lista che il Poeta inviò alla ditta:
La Fiumanella / La brezza del Carnaro / La rosa degli uscocchi / Il lauro di Laurana / L'ardore del Carso / La liburna / L'alalà.
Tutti nomi, ispirati, come si vede, alla «passione di Fiume».
Disobbedisco
Con questa parola di ribellione inizia il primo degli undici proclami scritto da d'Annunzio nel drammatico «Natale di sangue» del 1920, quando il governo decise di mettere fine all'impresa dì Fiume con le armi.
Il 21 dicembre 1920, per deliberazione del capo del governo, Giovanni Giolitti, il generale Caviglia ordinò il blocco effettivo di Fiume per terra e per mare. Il 24 dicembre, scaduto l'ultimatum dato al Comandante, le truppe del generale Caviglia attaccarono Fiume. E dopo due giorni la corazzata Andrea Doria sparò una cannonata contro il Palazzo del Governo in cui si trovava d'Annunzio.
«L'incanto era rotto», commentarono i contemporanei.
Chi non è con noi è
contro di noi
Parafrasi della frase di Gesù Cristo, «usata» dal Comandante d'Annunzio per le sue
«Fiamme Nere» - così era chiamata la I Divisione d'assalto dei combattenti che alla fine della guerra si trovava ancora in Libia.
Rimpatriati nel luglio del '19, le Fiamme Nere si misero in collegamento con gli Arditi comandati dal capitano
Host-Venturi, schierandosi subito per la causa di Fiume.
All'alba del 12 settembre del '19, le Fiamme Nere, alle porte della «Città di Vita» cantavano alle ragazze di Fiume: «Apriteci le porte / Libereremo Fiume / A costo della morte».