La vita dei minatori in Belgio e la morte nelle miniere
Racconto del vastese Pietro Florio da 62 anni in Belgio
 
Pietro Florio, classe 1935, rione Croci, da 62 anni in Belgio, è uno dei tanti vastesi che hanno lasciato Vasto nell’immediato dopoguerra alla ricerca di un futuro migliore. Con sacrifici, ha lavorato nelle miniere nel primo periodo e poi
in altre realtà produttive più sicure. L’emigrazione verso le miniere di carbone
del Belgio fu una delle esperienze più difficili
per gli italiani all’estero, ma nel dopoguerra
in Italia non c’era nulla e quello era uno degli sbocchi più promettenti.
Da ricordare che in quegli anni l’Italia aveva bisogno di carbone, il Belgio necessitava di
operai per le miniere. Allora nel 1946 si firmò l’accordo "uomo-
carbone": l'Italia si
impegnava ad inviare in Belgio 1.000
minatori
a settimana.
In
cambio,
avrebbe ricevuto dal Belgio 200 chili di carbone al giorno per ogni minatore emigrato.

Per convincere le persone ad andare a
lavorare
in miniera in Belgio, l'Italia venne
tappezzata di manifesti di colore rosa che presentavano unicamente i vantaggi derivanti dal
mestiere di
minatore: salari elevati, carbone e viaggi in
ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate,
pensionamento anticipato. In effetti non si parlava delle tristi condizioni di lavoro.

Noi 'Musi neri', com'eravamo chiamati a causa della polvere di carbone che ricopriva i loro
corpi
, venivamo avviati a un lavoro pericolosissimo, privi di ogni preparazione e alloggiati in strutture fatiscenti, per lo più nelle baracche che pochi anni prima erano state impiegate ad
uso militare
”.

Nessuno di noi poteva immaginare cosa l’aspettasse – ricorda Pietro Florio – non era facile passare dalla luce del sole dell’Italia, al nero del carbone a 800 metri sotto terra in Belgio!
Ma quella era l’unica possibilità”. Il lavoro in miniera era diviso in turni: 6-14, 14-22
dedicati all’estrazione
; 22-6 a preparare le armature.
Pietro ha fatto il minatore a La Sentinelle di Boussu e a L’Alliance. “Io lavoravo di notte ed ero addetto al trasporto dei legni per le armature, sotto la miniera, con i cavalli”.
All'epoca in miniera venivano calati anche i cavalli.
E chiarisce meglio il concetto: “Sì perché
forse non tutti lo sanno, ma in quel periodo dentro le miniere venivano calati anche i
cavalli sia per questo lavoro che per il
trasporto dei carrelli pieni di carbone
.
Avevano la loro stalla e non risalivano mai. Diventavano ciechi e risalivano in vecchiaia
solo per andare al macello
”.
In miniera il lavoro più duro era l’estrazione
del carbone in galleria
, la polvere era
enorme e portava dritto alla silicosi
.
All'epoca in miniera venivano calati anche i cavalli
Poi era sempre in agguato il grisou, il terribile gas di miniera con cui spesso si muore. Per precauzione portavamo una lampada che alla presenza del gas diventava blu oppure una
piccola gabbia di canarini che rivelano all’istante il grisou e i minatori facevano in tempo
ad abbandonare la galleria
. Infine c’erano sempre i pericoli dei crolli”.
Anche fuori della fabbrica l’ambiente non era favorevole agli immigrati, ma piano il processo di integrazione lentamente andò avanti per alcuni decenni e oggi si può parlare di Unione Europea.
  
C’è un episodio che ha segnato la sua vita, la morte in miniera in Belgio di Nicolino Ruzzi,
suo carissimo amico d’infanzia, in un incidente avvenuto qualche anno prima della tragedia di Marcinelle del 1956 (dove morirono 262 persone di cui 132 italiani, 60 abruzzesi).
Per lui Nicolino è un “eroe”, perché è morto
per soccorrere due suoi compagni di lavoro.
Pietro riferisce che l’incidente avvenne con questa dinamica: Nicolino era in galleria e
dietro di lui sentì un crollo che coinvolse due
suoi colleghi. Si precipitò verso di loro, tirò
fuori il primo dalle macerie e lo portò in zona sicura. Poi tornò indietro per andare a liberare
il secondo, ma sfortunatamente in quel punto
la galleria ci fu un altro crollo che seppellì sia
lui che l’altro collega già ferito. L’unico a
salvarsi fu il primo, profondamente addolorato per il fatto che Nicolino Ruzzi per salvare lui,
finì la sua vita sotto le macerie.
Pietro Florio ricorda i tristi momenti del
funerale in Belgio, dove tutta la comunità
Nicolino Ruzzi morto in miniera per salvare due suoi amici
vastese si raccolse attorno alla famiglia Ruzzi, e il successivo rientro della salma a Vasto per la sepoltura o nel cimitero cittadino.
stralcio da articolo appars0 su "www.noivastesi.blogspot.com" - lunedì, 19 ottobre 2015