Il
camoscio d'Abruzzo è classificato dagli zoologi come una sottospecie
a sé stante
(Rupicapra pyrenaica ornata),
distinta quindi da quella alpina, più simile a quella presente
sui Pirenei, in Spagna. |
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La differenza con la specie alpina, già rilevata fin dal 1900,
ora confermata da studi scientifici più approfonditi, si basa sulla
diversa colorazione del mantello invernale, sulla forma e lunghezza delle
corna, più grandi nel camoscio d'Abruzzo, e su aspetti comportamentali.
Il camoscio è arrivato dalle regioni asiatiche attraverso una lunga
migrazione, circa duecentomila anni fa, sopravvivendo fino ai giorni nostri
agli eventi biologici e climatici più vari nel corso di questo
lungo intervallo di tempo.
Presenti fino al 1900 sulle principali montagne centro-appenniniche, i
camosci hanno trovato il loro estremo rifugio sulle montagne del Parco
Nazionale d'Abruzzo, dove nei primi decenni del ventesimo secolo si calcolava
che ne fossero rimasti solo una trentina.
Grazie all'istituzione, nel 1923, del Parco Nazionale d'Abruzzo, la popolazione
di camoscio si è ampliata raggiungendo l'attuale contingente di
circa 900 individui nelle diverse aree di presenza. Oltre alla popolazione
del Parco d'Abruzzo sono cresciuti importanti nuclei nei Parchi Nazionali
della Majella e del Gran Sasso e Monti della Laga, dove sono stati reintrodotti
a partire dal 1990. |
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Il
futuro del camoscio
Notizie storiche recenti e passate ci descrivono il Gran Sasso come una
montagna largamente abitata dal camoscio. D'altronde, l'accidentata morfologia
di questa catena montuosa, fatta di creste appuntite, pinnacoli e pareti
verticali, ne fa proprio una montagna da camoscio.
La distribuzione dell'erbivoro nei tempi più remoti comprendeva,
verosimilmente, anche i Monti della Laga, da cui probabilmente è
scomparso prima che sul Gran Sasso.
La scelta dell'Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e i Monti della Laga
di rappresentare il camoscio d'Abruzzo nel proprio logo è un modo
per legare la storia naturale di questo erbivoro al futuro dell'area protetta
in cui si spera che esso recuperi gli habitat che gli erano propri, in
un quadro armonico di sviluppo sostenibile delle comunità umane
che vi abitano.
Con questa filosofia di gestione dell'area protetta, l'Ente Parco ha ottenuto
il cofinanziamento di due progetti dall'Unione Europea, finalizzati alla
stabilizzazione e all'accrescimento della attuale popolazione di camoscio
nel Parco, con il coinvolgimento attivo dei suoi abitanti.
Il primo progetto Life si è concluso, mentre il secondo progetto
è stato avviato nell'estate 2002. |
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Camosci
nel Parco
Fare un'escursione sulle creste del versante meridionale del Gran Sasso
ed incontrare grandi mammiferi selvatici era impensabile fino a pochi
anni fa.
L'assenza dei grandi animali costituiva la lacuna lampante di aree stupende
con panorami mozzafiato. Una volpe affamata, furtiva ed impaurila, era
quanto di più si potesse sperare di vedere.
Oggi, a oltre dieci anni dalla operazione di reintroduzione del camoscio
d'Abruzzo, le cose sono molto cambiate.
Intorno alle vette, nei mesi estivi, all'interno di conche e valloni nel
periodo autunnale, in ripidi e pericolosissimi pendii erbosi durante l'inverno,
è possibile scorgere il musetto curioso di un giovane camoscio
o le lunghe corna uncinate di un maschio vagabondo.
Per un incontro indimenticabile con il camosci occorre però attenersi
ad alcune norme comportamentali.
I camosci sono animali diurni che pascolano nelle ore più fresche
della giornata, dunque non avvicinarsi mai troppo e neanche abbandonare
i sentieri, evitare rumori o movimenti bruschi, sostare nell'osservazione
il minimo possibile affinchè i camosci possano riprendere rapidamente
a brucare.
Gli escursionisti attenti e i turisti educati non si meraviglieranno nel
sentire un forte soffio, simile a un fischio, lungo i sentieri del Parco:
sono i camosci, che vi avvertono della loro presenza, offrendovi una emozione
forte, magari a conclusione di una stupenda giornata in montagna. |
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Il
camoscio a Farindola
L'area faunistica di Farindola, la prima realizzata nel Parco Nazionale
del Gran Sasso e Monti della Laga, è stata inaugurata il 29 luglio
1992, a 100 anni dalla scomparsa dell'ultimo camoscio sul Gran Sasso,
ed è gestita dalla Legambiente.
L'Amministrazione Comunale, i cittadini di Farindola, le associazioni
ambientaliste locali (CAI, Legambiente) e la cooperativa Ciefizom si sono
impegnati per la realizzazione completa dell'area faunistica, con tanti
volontari che hanno lavorato tenacemente, spinti dal desiderio di contribuire
ad un progetto entusiasmante.
Una esperienza vissuta molto intensamente, in cui i farindolesi, aiutati
anche da giovani europei del volontariato internazionale di Legambiente,
dal Club Alpino Italiano e dalla Scuola Verde di Isola del Gran Sasso,
hanno concluso i lavori in tempi rapidissimi.
I primi camosci ospiti sono state due femmine provenienti dall'area faunistica
di Bisegna, nel Parco Nazionale d'Abruzzo, chiamate Ombretta e Menga;
in seguito, il 29 settembre 1992, è arrivato Quirino, un maschio.
Nella primavera del 1993 è nato il primo camoscetto, segno di un
buon adattamento al nuovo ambiente, del tutto simile al loro habilat naturale.
Infatti l'area è stata realizzata nei pressi della cascata del
Vitello d'Oro, all'ingresso della Valle d'Angri, caratterizzata da sporgenze
rocciose, pareti scoscese, forti pendenze e una ricca vegetazione adatta
alla loro alimentazione.
I camosci si sono puntualmente riprodotti e alcuni di essi, nell'ambito
di operazioni condotte dall'Ente Parco, sono stati prelevati e liberati
in natura sul Gran Sasso, dopo essere stati marcati con delle targhette
colorate di riconoscimento apposte sulle orecchie, muniti di radiocollare
per poter essere seguiti nei loro spostamenti dagli operatori del Parco.
L'area faunistica, gestita dalla Legambiente su incarico dell'Ente Parco,
è stata definita dagli esperti come area modello per la riproduzione
e lo studio del comportamento del camoscio e quindi per la sua conservazione.
L'entusiasmo suscitato tra i cittadini dal ritorno del camoscio d'Abruzzo
e l'impegno dell'Amministrazione Comunale nel promuovere Farindola a riferimento
del Parco nell'area vestina, hanno spinto l'Ente Parco a scegliere questo
paese come sede del Polo Scientifico del Parco, che ospita al suo interno
l'Osservatorio di Geologia e un museo naturalistico dedicato
al camoscio d'Abruzzo. |