Nella
primavera del 1956 si verificò a Vasto una frana di grandi dimensioni
che fece scivolare a valle il Muro delle Lame e buona parte del rione
S. Pietro. Il fronte della frana si estendeva per circa 250 metri da
porta Palazzo alla Chiesa di S. Antonio ed interessava anche tutti
i terreni sottostanti che scivolando verso il mare creavano
problemi alla SS 86 per Vasto Marina ed alla linea ferroviaria.
UNA
FRANA DI ORIGINI ANTICHE .
Ma la zona non era nuova ai dissesti idrogeologici.
Da secoli si verificavano scoscendimenti periodici e si cercava di
porre rimedio come meglio si poteva. “Già dal 1921,
a seguito dell’inclusione dell’abitato fra quelli da consolidare
a spese dello Stato, si era iniziato a rafforzare i muri esistenti
e a ricostruire quelli crollati, ma ciò avvenne a più
riprese senza che tali opere murarie potessero arrestare gli sfaldamenti
sempre più allarmanti nella oro progressione”.
“Varie e discordi erano le opinioni sulle cause dei franamenti
e discordi erano i criteri che si consigliavano per sanare il fenomeno”.
Per alcuni la frana era causata dalle “acque
superficiali che non arginate provocavano l’ammollimento della
massa detritica addossata al piede del paese e quindi l’indebolimento
del piede stesso”;
per altri era provocata “dall’imbibizione
dei terreni sottostanti l’abitato per dispersione dell’acquedotto
delle fognature; oppure dalle condizioni di umidità variabile
della parete esposta al variare degli eventi atmosferici”.
Finalmente nel 1955 il Genio Civile di Chieti, allertato da un’accentuazione
del fenomeno, elaborò un razionale piano d’indagine costituito
essenzialmente da un completo rilevamento geomorfologico del sottosuolo
di Vasto, sia per la parte dell’abitato adiacente la frana,
sia per la zona a valle fino alla strada statale 86.
Tutti gli accertamenti furono eseguiti sotto la consulenza del Prof.
Ugo Ventriglia dell’Istituto di mineralogia dell’Università
di Roma.
LA
CATASTROFE.
Il Genio Civile non fece in tempo a varare alcun provvedimento.
A seguito delle abbondanti nevicate, il 22 febbraio 1956 il Muro delle
Lame e le case sovrastanti cominciarono a mostrare vistose crepe ed
a crollare.
Il fenomeno andò avanti per tutta la primavera, fino all’estate.
Fu ordinata l’immediata evacuazione e fortunatamente non ci furono
vittime fra gli abitanti. Ma un intero quartiere del borgo antico fu
inghiottito dalla frana. Scivolarono a valle circa 150 alloggi, compreso
l’imponente Palazzo delle Poste. L’antica chiesa di S. Pietro
rimase in bilico sul dirupo e riportò danni irreparabili, per
cui di decise negli anni successivi la sua demolizione. (Con le tecnologie
di oggi si sarebbe potuta salvare).
IL
SOTTOSUOLO DI VASTO.
Dopo la catastrofe si intensificò la campagna di indagini geologiche
con l’assidua e continua consulenza del Ministero dei Lavori Pubblici
e di molti tecnici altamente qualificati, inviati a Vasto su pressione
dell’allora potente Sen. Giuseppe Spataro.
“I rilievi geologici hanno consentito di constatare
che:
• la formazione delle sabbie giallastre dell’Astiano
costituenti la piattaforma di Vasto ha una potenza di circa trenta metri
e risulta costituita da 12 metri di sabbie sciolte incoerenti o quasi,
per circa tre metri da sabbia e ghiaie grosse (conglomerati , ed infine
da una quindicina di metri da sabbie a contenuto alquanto argilloso,
discretamente plastiche nello stato più basso per uno spessore
di circa 3 metri. Al di sotto le argille solide del Piacenziano;
• la formazione sabbiosa era interessata per
circa dieci metri al di sopra del contatto con le argille compatte da
una falda acquifera di notevole intensità;
• non furono riscontrate falde nè a livelli
superiori né a ragionevoli profondità all’interno
della argille del Piacenziano;
• nella zona subito a valle della frana non si
rinvennero formazioni sabbiose in posto, solo una coltre potente da
7 a15 metri di materiali sabbiosi e argillosi caoticamente rimaneggiati
ed intensamente imbibiti di acqua, al di sotto le argille presentavano
in genere tutta la loro compattezza;
• Dalle periodiche misurazioni del pelo libero
delle falde eseguite mediante piezometri disposti nei diversi sondaggi
è stato inoltre possibile stabilire:
•• che la direzione della corrente è
all’incirca da sud-ovest verso sud-est con cadente idraulica del
3% 4%;
•• che le oscillazioni nel tempo e al variare
delle condizioni meteorologiche dei livelli d’acqua dei sondaggi
tenuti sotto osservazione si manifestarono perfettamente concordanti;
•• che la portata della falda era piuttosto
notevole e essendosi valutata mediante prove di aggottamento dai fori
per la completa estensione del fronte di frana di circa 250 metri in
complessivi 5-6 litri al secondo”. (G. Vecellio)
Fu anche esaurientemente accertato che la falda acquifera fuoriusciva
ad una quota di circa 100 metri sul livello del mare lungo il versante
est, “dilavando e plasticizzando le argille di base e trascinando
le sabbie incoerenti sovrastanti”.
In altre parole l’acqua che fuoriusciva sotto il Muro della Lame
bagnava il terreno fino allo strato di argilla compatta e ciò
creava un effetto si scivolamento verso il mare.
Le
notizie tecniche sono tratte da “Le opere di consolidamento della
frana di Vasto” di Giuseppe Vecellio.