Vasto: Frana del 1956 - 22 febbraio
(i crolli andarono avanti per tutta la primavera, fino all’estate)
 
Cenni e Foto
 
Le Cause
I Rimedi
Frana in Poesia
Ex chiesa di S. Pietro
chiesa di S. antonio da Padova
 
Vasto, la grande frana del 1956, by
MuseoArcheoVasto
- Luglio 2008
- da You Tube

Ante frana del 1956
 
Queste tre cartoline immortalano Vasto agli inizi degli anni ’50.
Nelle prime due, è ben visibile il lato orientale della città con l’imponente Palazzo d’Avalos e sulla destra Via Adriatica, una delle più belle vie di Vasto, grazie al bel panorama che poteva offrire, purtroppo spazzata via dalla frana del 1956; ben visibile è Palazzo Ponza (in basso a destra), che ospitava a pian terreno l’ufficio postale e nei piani superiori l’ufficio delle imposte e quello dei registro. Più indietro sono riconoscibili la chiesa di S. Maria Maggiore, i palazzi scolastici, la chiesa dell’Addolorata, Palazzo Palmieri, S. Giuseppe e il Palazzo Arcivescovile con la chiesa del Carmine.
Se poi si entra nel dettaglio dell’immagini si possono trovare altre cose molto interessanti.
Nello sfondo si comincia ad intravedere i primi segni di espansione della città e dietro l’aperta campagna vastese, oggi quasi interamente cementificata.
La terza, ci presenta una visuale diversa della città, partendo da Piazza Rossetti, in basso a sinistra, possiamo riconoscere tutti i principali luoghi di Vasto, fino a scorgere la chiesa di
S. Pietro e, vicino la chiesa di S. Antonio, il palazzo della Sottoprefettura.
Oltre l’abitato è visibile parte della costa vastese con la scogliera e i trabocchi.
stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" del 9 ott. 2009 e altre fonti - M.S. 02/'23
 
Il muro delle Lame prima della Frana del 1956
 
Chiesa di San Pietro

Post frana del 1956
Il Muro delle Lame crollato nel 1956.
Visibile l'abside dell'antica chiesa di San Pietro e l'imponente Palazzo delle Poste
 
 
 
Crollo del Muro delle Lame
Crollo del Muro delle Lame
   
Momenti del crollo del Muro delle Lame
Momenti del crollo del Muro delle Lame
   
Momenti del crollo del Muro delle Lame
Particolare della Frana
   
Particolare della Frana
Particolare della Frana
   








Particolare della Frana
Particolare della Frana
 
 
 
 
 
   
   
   
   
   
Particolare della Frana della Chiesa di S. Pietro
Particolare della Frana
   
Recupero e trasporto della statua di Cristo dalla chiesa di San Pietro
   
Chiesa di S. Pietro durante l'abbattimento




Portale romanico, resto della facciata
della chiesa di S. Pietro, a seguito frana
   
Zona Franata
Zona Franata
   
Zona Franata
Zona Franata
   
Zona Franata - sopralluoghi
Zona Franata - sopralluoghi
   
Zona Franata
lavori di ricostruzione strade più volte franate
Zona Franata
lavori di ricostruzione strade più volte franate
   






La zona franata della città
vista dalla spiaggia d'estate
La spiaggia e vista della
zona franata della città durante lavori di rimedi

II crollo della zona orientale di Vasto, Testimanianza, Marzo 1956
Alla distanza di 140 anni la nostra Città rivive e piange le giornate del grande dolore, quelle, che nessuna parola può confortare, quelle, che nessuna forza può trattenere: la via orientale, aperta all'azzurro del mare nostro, al sorriso dei nostri sogni è crollata tra il Palazzo Marchesani fin quasi alla chiesa di S. Antonio.
Si sono sprofondate le forti mura, le numerose casette della nostra gente di mare, la canonica di
S. Pietro, che per prima ha ceduto alla violenza oscura degli elementi sotterranei alle 11,45 del 22 febbraio.
Eravamo sul posto ad una trentina di metri. Vi era il Sindaco, il Segretario, il Commissario di S., il Maresciallo Naselli, l'instancabile Direttore dell'Ufficio Tecnico, che effettuava giorno e notte sopraluoghi su sopraluoghi.
Alle 11.30 la famiglia del rag. Benedetti aveva rivolto l'ultima lacrima alla casa che si chiudeva.
Una lunga incrinatura lungo il muro della canonica: a mano a mano si allargava, si allargava come se si smagliasse... cade un mattone, due mattoni, alcuni mattoni e poi tutta la parete sprofonda in un nugolo di polvere. Il cuore si lacera, il nostro pensiero corre al caro, patriottico, italianissimo don Romeo Rucci.
A intervalli più o meno lunghi le mura e le case a blocchi, a tronconi, come sotto i colpi d'un piccone, si rovesciano, si frantumano, sono ingoiate con profondi boati.
Il pericolo si è esteso frontalmente e in profondità; il numero delle famiglie sfollate è salito a 116; i punti di resistenza tra gli scoscendimenti del terreno e i crolli dei muri delle case lesionate e già cadute, si sono localizzati al Palazzo Marchesani e alla Cappella della Croce di San Pietro, che ormai
si trova sull'orlo dell'abisso.
Le crepe affiorano tortuose alla sede stradale come una venatura crudele verso la balconata di Piazza del Popolo, verso via Barbarotta, rendendo precario anche il lato orientale di Via San Pietro. Dalla città il processo franoso lentamente, ma inesorabilmente, si è esteso alla statale 86, che collega con Vasto-Marina, ormai travolta (si utilizza la recente variante dell'A.NAS.) e alla ferrovia, intorno alla quale lavorano giorno e notte numerosi operai per mantenere le comunicazioni.
Le piogge insistenti aggravano la situazione, già compromessa dalle nevicate scorse.
L'uomo e la sua tecnica debbono dichiarare la loro impotenza: a 300 m. di profondità l'occhio non riesce a penetrare, lì triste fenomeno di corrosione sotterranea e profondo, molto profondo e può essere afferrato, veduto e giudicato, come suole avvenire in caso di disgrazie, dall'immancabile privilegio del gran senno del poi.
Sulle rovine della più bella zona di Vasto, sulla solidarietà affettuosa delle Autorità Centrali, Provinciali, Locali e della Commissione Pontificia di Assistenza, sul pianto accorato di tanta povera gente han fiutato gli sciacalli, le iene, gli avvoltoi, deridendo perfino la nostra fede.
Contro le vili, ignomimose speculazioni ci è giunta cara, consolante, incoraggiante la voce dei nostri concittadini da tutte le parti d'Italia e dell'Estero, voce, che rimane con noi a sperare, a sperare sempre sulla rinascita della nostra bella Città.
Nel numero delle famiglie non sono comprese quelle, che prese dal panico, hanno abbandonato le loro case.
Sollecitamente, condividendo il dolore della cittadinanza, è giunto da Roma l'on. Spataro.
stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2001

La frana del 1956
La frana del 1956 è l'evento catastrofico più grave da cui sia stato investito l'abitato di Vasto.
La mutilazione del tessuto urbano ha raggiunto allora dimensioni (circa 40 ettari di superficie) mai toccate in precedenza: una delle aree più suggestive e antiche della citta, ricca di edifici pubblici e privati di inestimabile valore storico ed architettonico, che si allungava a mezzaluna sulla panoramica via Adriatica, da località Le scalette a località Madonna delle Grazie, è finita completamente inghiottita dalla voragine.
Un precedente crollo aveva investito la zona nel 1942. Negli anni seguenti, ma soprattutto nel 1945, erano stati effettuati lavori di consolidamento mediante la costruzione di un grande muro di sostegno. Ma di nuovo nel 1953 si notarono preoccupanti lesioni in alcuni fabbricati del rione San Pietro: segni premonitori, per quanto colpevolmente poco considerati, di ciò che sarebbe accaduto tre anni dopo. Come nel 1816, quando la frana del rione S. Maria aveva trovato la sua causa scatenante nello scioglimento delle nevi quell'anno cadute in eccezionale quantità, anche nell'inverno del 1956 s'erano avute abbondanti precipitazioni nevose, cui si aggiunsero poi intense e ripetute piogge. Il suolo cominciò a scuotersi con straordinaria potenza il 22 febbraio 1956, ma poi gli smottamenti continuarono per tutta la primavera e parte dell'estate.
Grazie ai controlli e alle preventive evacuazioni degli abitanti non ci furono vittime, ma varie decine di fabbricati (per la precisione oltre 150 alloggi con circa 700 vani), compreso il maestoso palazzo delle Poste, fatto costruire dal leader della Sinistra storica vastese Francesco Ponza (detto perciò anche palazzo Ponza), vennero travolte dal movimento franoso.
Le soluzioni adottate nell'opera di risanamento e consolidamento dell'area franosa, dietro suggerimenti del Genio civile, sono state molto discusse e controverse, tanto nella fase di esecuzione che poi negli anni seguenti. In particolare ha suscitato perplessità la decisione di abbattere definitivamente l'antica chiesa di San Pietro, di cui oggi rimane solo parte della facciata, col trecentesco portale che da sull'antistante piazzetta.
stralcio dal libro di Costantino Felice
"Vasto - Un profilo storico (economia, società, politica, cultura )" 2001 - La Ginestra Editrice - L'Aquila

Frana del 1956
L'Istituto Luce mette on line le immagini di Vasto
Il primo marzo 1956 il cinegiornale La Settimana Incom, diretta da Sandro Pallavicini, si occupa della frana di Vasto.
Le immagini sono straordinarie e in poco più di un minuto, danno veramente la dimensione e la drammaticità dell’evento.
Le immagini in bianco e nero scorrono rapide e inesorabili, sottolineate dalla voce grave e dimessa del cronista: ci sono i volti delle persone incredule che osservano il disastro, chi cerca di porre in salvo i simboli sacri della chiesa di S. Pietro e la fede della gente che porta in processione la statua di S. Michele per placare la sciagura.
Conseguenze del maltempo:
“Dopo le drammatiche giornate della neve, per molte province italiane il ritorno di temperature più miti non ha significato il risorgere della speranza. Al contrario, l’improvviso disgelo ha provocato frane rovinose e allagamenti devastatori. Da più parti vengono segnalate interruzioni di strade e crolli di ponti.
Nella cittadina di Vasto poi si vive in piena atmosfera di tragedia: a causa di una frana di proporzioni gigantesche, lo storico muraglione eretto a sostegno del paese ha ceduto e l’intera parte orientale dell’abitato sta slittando inesorabilmente a valle.
Il desolante quadro richiama alla memoria le terribili scene dei bombardamenti bellici.
Le famiglie abbandonano le case minacciate. C’è nei volti la stupefatta rassegnazione di chi nulla può fare contro l’ineluttabile. Anche gli arredi e le immagini sacre vengono poste in salvo.
Gli uomini di
Vasto invocano la clemenza divina e attendono fiduciosi il generoso soccorso dei fratelli italiani”.
stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" del 25 febbraio 2010

Frana 1956
Le drammatiche lettere di quei giorni
A causa dei limitati mezzi di comunicazione e di informazione del tempo, come la mancanza dei telegiornali e dei telefoni, i molti vastesi , parenti o amici sparsi per l’Italia hanno appreso le notizie della frana direttamente dai quotidiani nazionali, dal cinegiornale La Settimana Incom del primo marzo (trasmesso nelle sale cinematografiche), oppure dalla corrispondenza postale.
Lettere scritte tra la fine di febbraio e gli inizi del marzo, parlano della frana, e sono interessanti soprattutto perché fanno capire lo stato d’animo delle persone interessate dalla tragedia.
In una lettera, si legge:
“Cara L..., ieri dopo tanta attesa e trepidazione abbiamo ricevuta la tua lettera, non puoi credere con quale ansia attendevamo vostre care notizie. Per noi fu un gran colpo quando, mentre ero in cucina a fare da mangiare, sentii un urlo di F....: corsi e vedendo le fotografie di Vasto in macerie tutto il muro delle lame sentendo poi la chiesa di S. Pietro urlai subito L..., c’è L.... Non posso proprio pensarci quale sorte è toccata alla nostra cara Vasto, e tutti i giorni, anche stamane la frana avanza inesorabile, stando così le cose penso che cadrà tutta… Immagino il tuo grande dolore dover lasciare la tua casa, spero che avrete portato tutto via, avrei voluto una tua lettera più dettagliata per sapere se è caduto il palazzo delle poste vicino a te e il palazzo di Nasci… Vi raccomando andate lontano, a Scerni se lì è sicuro, portate via la roba perché stando così la frana dove arriverà? Non trovo parole cara L... per farti coraggio come pure a P..., fatevi forza e sopportate con fede questo grande dolore, lo so che è grande ma Dio vi darà forza e rassegnazione… Solo coraggio posso dirti cara L..., il destino a volte è tanto crudele ed avverso, sono tanto lontana ma sempre a voi vicina e la mattina ben presto corro a prendere il giornale per sapere notizie, ma piango, piango e urlo quando sento che la frana continua…”.

In un'altra lettera si legge:
“Quando vorrei volare per venire a rivedervi e vedere Vasto. Come fanno ad andare a Vasto Marina se la strada non c’è più? Che pensiero, mi segno in tutte le ore… E la roba della chiesa di
S. Peltro dove l’hanno portata?”.


In un’altra lettera datata 7 marzo, scritta da un’altra persona, ma al medesimo destinatario del precedente, si legge:
“Carissimi, appena ricevuto la vostra lettera, mi sono preoccupato di rispondere subito… Con le lacrime agli occhi ho letto la lettera scritta da…, non immaginate il dispiacere che provai nel sentire che la bella veduta del Lungo Mare è quasi distrutta, compreso la strada che porta al Mare ecc. ecc. Dai giornali avevo letto quello che a Vasto succedeva, ma nel leggere una lettera da chi abita è tutto differente. Speriamo che queste frane cessino, altrimenti, io non so capacitarmi di quello che ne sarà di Vasto… Preghiamo N. Signore che possa mettere un riparo, e fermare tutto il male che è in corso, così tutta la popolazione possa riprendere il suo corso normale, e ritornare la tranquillità in tutte le case e in tutte le famiglie”.
stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" del 26 febbraio 2010

Frana del 1956
Il Muro delle Lame scivola a valle
Don Michele Ronzitti ricorda quei tragici momenti

Il 22 febbraio 1956 si abbatteva su Vasto una delle più gravi sciagure della sua storia, quando un vasto movimento franoso faceva scivolare a valle una buona parte del Muro delle Lame.
Meno di un mese prima della disastrosa frana, Espedito Ferrara sulla prima pagina dell’Histonium scriveva:
“La frana a Vasto, è all’ordine del giorno, anche se sembra passare in seconda linea dopo i sondaggi effettuati dal Genio Civile. Trenta famiglie sono state costrette ad abbandonare le abitazioni; la splendida via delle Lame è chiusa al traffico. Un triste fenomeno, che dal 1816 si ripete di volta in volta”.
Di seguito riportava tutti i movimenti franosi annotati dal canonico Florindo Muzii nel suo Diario,
da quello disastroso del 1816, agli altri del 1831, 1843, 1844, 1845 e 1847.
Altri movimenti si sono verificati agli inizi del secolo e anche nel 1941 e nel 1946 quando crollò, per l’ennesima volta, una parte del muraglione. Ed entrambe le volte, piuttosto che affrontare il problema alla radice si preferì riparare il muraglione. In particolare questo episodio lo ricorda anche don Michele Ronzitti, decano dei sacerdoti vastesi, che ha vissuto in prima persona quei tragici momenti:
“Intorno al 1945, sotto la Madonna delle Grazie il terreno si abbassò notevolmente e c’era molta difficoltà a passare con le carrozze. In quel periodo stavano rinforzando i muraglioni e già si vedeva che usciva molta acqua. Era stato evidenziato il problema, ma pur di non fermare i lavori si è andato avanti.
Don Romeo Rucci, ricorda ancora don Michele:
“diceva che in quel periodo se si fosse intervenuto in modo adeguato con dei canali di scolo, si sarebbe potuto evitare la tragedia del 1956, ma in tempo di guerra, soldi non c’erano e sappiamo tutti poi quello che è successo”.
Nel settembre del 1955 già erano comparse le prime preoccupanti crepe sulla strada e nelle case di Via Adriatica, non risparmiando anche una parte dei locali della chiesa di S. Pietro:
“Per problemi di sicurezza furono fatte sfollare molte famiglie”, ricorda ancora don Michele,
“La chiesa era ancora aperta, ma a causa della comparsa di alcune crepe nella canonica, Don Romeo era andato ad abitare nei locali della Madonna delle Grazie, mentre io prima sono stato ospite di mio fratello a Corso Dante e poi ho trovato casa in Via Lago.
Il 22 febbraio, giorno della tragedia, ero nella cappella di S. Giovanni Battista, mentre sbrigavo le pratiche per un matrimonio, quando all’improvviso abbiamo sentito un rumore assordante, sembrava lo scoppio di una bomba, perché stavano cedendo parte della canonica e del salone parrocchiale”.


Le persone sfollate furono accolte nell’asilo comunale tenuto dalle Figlie della Croce, nelle altre scuole e in alcune strutture pubbliche.
“Dietro l’abside della chiesa c’erano rimasti ancora 3 o 4 metri di terreno”
, continua don Michele, “ma con la successiva frana cedette tutto fino all’abside e si formò una nuova spaccatura che interessò la volta, il pavimento del presbiterio e la cripta di S. Espedito.
Nel 1957 io, don Romeo, Giuseppe Spataro e i tre priori delle confraternite, ci siamo recati a Roma dal ministro dei Lavori Pubblici Romita, ma non ci fu nulla da fare, ormai era stato deciso l’abbattimento della chiesa: salvare la chiesa e ricostruire il muraglione sarebbe stato troppo costoso”.

Già nell’agosto del 1956 sulle pagine dell’Amico del Popolo si leggeva:
“Il Genio di Chieti è già in azione nella zona franosa della nostra città per porre in attuazione il grandioso quarto progetto di lavori, approvato recentemente dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Sembra che tutte le costruzioni esistenti, sino al livello di via San Pietro, vengano abbattute ed, in luogo delle dette, sorgerebbe un belvedere ispirato ai migliori criteri urbanistici moderni; a zona a valle, cioè la zona franata, sarebbe trasformata in una ampia scarpata verde… Se così sarà, proseguiva il giornalista, “in considerazione del fatto che le case destinate alla distruzione, in genere sono, modestissime antiche ed antigieniche e che i legittimi proprietari riceverebbero un adeguato indennizzo, viene spontaneo ammettere che, alla fin fine, la frana non è stata un gran danno”. Giudizio questo infelicissimo che il giornalista, la cui sigla è GDF, si poteva tranquillamente risparmiare.

stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" del 22 febbraio 2010

Frana 1956
"Alla fine si decise di non ricostruire la Chiesa di San Pietro,
poteva bastare S. Antonio
"
Spesso quando si parla della storica chiesa di S. Pietro erroneamente si afferma che è crollata in seguito alla frana del 1956. In realtà la chiesa è stata demolita a causa delle profonde lesioni riportare durante i vari movimenti franosi a partire dal 22 febbraio.
Molti, ancora oggi continuano ad affermare che la chiesa poteva essere salvata. Certo, guardare oggi in televisione le chiese distrutte dell’Aquila, in seguito al terremoto del 6 aprile 2009, verrebbe da dire che la chiesa sicuramente poteva essere salvata.
Purtroppo dobbiamo fare i conti con una classe politica che non ha fatto abbastanza per salvare la chiesa. Poteva essere rifatto il muraglione a sostegno della chiesa, ma sarebbe stato troppo costoso, allora meglio dare un “contentino”, demolire la chiesa e creare una bella passeggiata panoramica. Prove ovviamente non ce ne sono, ma chi ha vissuto quel periodo quella è la sensazione che ne ha ricevuto, prima ancora che avvenisse il crollo del Palazzo del Poste e di altre edifici, si parlava di demolizione e “passeggiata panoramica”: “Sembra che tutte le costruzioni esistenti, sino al livello
di via San Pietro, vengano abbattute ed, in luogo delle dette, sorgerebbe un belvedere ispirato ai migliori criteri urbanistici moderni; a zona a valle, cioè la zona franata, sarebbe trasformata in una ampia scarpata verde”.


Dal 6 dicembre 1959 la chiesa venne demolita pezzo per pezzo: si provvide a salvare gli altari, i marmi del pavimento, della balaustra e delle due scalinate per scendere nella cripta, ma anche tutte le statue, i quadri e i tesori. Tutti i beni in parte furono utilizzati per l’altare e il presbiterio della chiesa di Sant’Antonio di Padova, i quadri, tra cui l’Ecce Agnus Dei di Filippo Palizzi e Il cieco di Gerico di F. Paolo Palizzi, furono trasferiti presso Museo Civico, altre statue di Santi furono dislocate tra le chiese di Sant’Antonio, la Madonna delle Grazie e Santa Filomena, e ancora tante altre cose in deposito presso sei famiglie.
Sarebbe interessante sapere se alcuni beni sono ancora in deposito presso le famiglie vastesi oppure è tornato tutto a disposizione della parrocchia.
Con la demolizione della chiesa di San Pietro, era stato promesso al parroco Don Romeo Rucci prima e don Stellerino d’Anniballe poi, la costruzione della nuova chiesa.
Più volte il vescovo mons. Bosio venne a Vasto per verificare la sede adatta. Fu individuata l’area a Belvedere Romani tra il carcere e la caserma dei carabinieri.
Gli anni passarono. Per interessamento dell’on. Remo Gaspari, si riuscirono ad ottenere altri 150 milioni, ma dopo la morte di mons. Bosio, avvenuta il 25 maggio 1967, con la venuta del nuovo vescovo, mons. Loris Capovilla, si decise la non ricostruzione della chiesa di S. Pietro, in quanto quella di Sant’Antonio poteva sopperire a tale mancanza.
I disagi sopportati da don Stellerino furono altissimi, tanto che il 22 novembre 1967 rivolse un accorato appello attraverso la stampa:
“Tutti i cittadini sanno come siamo ridotti dopo la frana del 1956. Siamo ospiti di una chiesa – quella di S. Antonio – angusta, lesionata, ondulata nel pavimento, posta al ciglio della frana ed all’estremità della parrocchia. Siamo senza un battistero, senza un posticino decente per le confessioni degli uomini, senza un magazzino sufficiente, mentre le nostre cose, comprese le venerate immagini tanto care al nostro popolo, sono distribuite in ben sei famiglie…
Le campane giacciono ancora a terra silenziose”,
prosegue don Stellerino, “rivolgendo
un muto rimprovero, dopo essere state sfrattate dal Belvedere Romani…
È un diritto per la Parrocchia di S. Pietro – se deve continuare ad esistere – riavere almeno quel che aveva: chiesa, casa parrocchiale, locali idonei per l’istruzione e l’educazione. È proprio vero che ci sono tante chiese, come alcuni vanno dicendo e qualcuno ha scritto? I vari luoghi di culto esistenti nell’ambito della parrocchia non possono mai supplire ad un centro parrocchiale, dove si realizza e donde si diffonde una vita di comunità. Il fatto che un operaio possa consumare il suo pasto in una panchina o in un ristorante, non significa che la panchina o il ristorante possano supplire alla casa… Onestamente perciò chiediamo a tutti, nessuno escluso, un leale appoggio, fatto di comprensione e di collaborazione, ed a quanti ci hanno aiutato e ci vorranno aiutare, un grazie sincero”.
stralcio da art., a firma Lino Spadaccini, apparso su "www.noivastesi.blogspot.com" del 2 marzo 2010