Italia, 1958: Chiusura dei Casini. Legge
20 febbraio 1958, n. 75 "Norme per l'abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta allo sfruttamento della prostituzione altrui" |
A Vasto, però, mai aperti |
Chiamata, comunemente
Legge Merlin dal
nome della presentatrice, la senatrice socialista Lina Merlin (Pozzonovo, 1887-Padova, 1979) |
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Nel 1958, entrava in vigore la legge Merlin, che chiude le cosiddette case
di tolleranza, in pratica i bordelli, i lupanari, i postriboli, i locali
di meretricio, insomma i casini, come venivano comunemente chiamati. È il 20 febbraio del 1958 e l'approvazione della nuova normativa arriva a conclusione di un lungo ed agitato iter parlamentare contrassegnato da animate discussioni, seguite come forse mai prima, con grande attenzione da parte dell'opinione pubblica, divisa tra favorevoli e contrari. Rileggendo le cronache dell'epoca si può seguirne il filo dei ragionamenti e delle opinioni, tornati peraltro di attualità, e rivivere anche il clima di quel momento certamente storico, caratterizzato da manifestazioni di assenso o di dissenso espresse in varie forme. Con la legge della senatrice socialista viene cancellata all'improvviso una "istituzione" secolare e tutto un mondo, per metà clandestino, "tollerato" appunto, che ha alimentato la fantasia degli adolescenti e costituito il rifugio di generazioni di gaudenti, e d'un tratto, contestualemente, un vocabolario di termini che diventeranno desueti o destinati ad assumere significati diversi: Cocotte, Nave scuola, Tenutaria, Maitrêsse, Marchetta, Sveltina. |
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Uscita
dai casini, la prostituzione si trasferirà nelle strade, con conseguenze
decisamente molto più pregiudizievoli sotto l'aspetto della moralità,
dell'ordine pubblico e della profilassi, smentendo nei fatti le buone intenzioni
del legislatore; ma questa è un'altra storia tutta da raccontare. Quante sono le "case chiuse" in Italia alla data della pubblicazione della legge si sa, anche se con molta approssimazione. Sembra fossero 730, come si ricava dalla relazione dell'indomita firmataria della normativa antimeretricio, e con un "organico", si fa per dire, di circa tremila "signorine": in pratica, una rete con un efficiente sistema di collegamento interno per favorire la circolazione delle "addette", diffusa su tutto il suolo nazionale, in quasi tutti i comuni di una qualche importanza. Tranne però che a Vasto, ove, secondo la documentazione reperita nell'archivio comunale, non risulta siano mai state autorizzate, almeno per tutto l'arco del Novecento. Le carte a disposizione parlano di poco più che timidi tentativi di aprirne nel corso degli anni, rimasti tutti senza esito, dai quali si ricavano, tuttavia, storie abbastanza singolari, quantomeno spiritose, che forniscono uno spaccato davvero interessante della vita e del modo di pensare a Vasto all'epoca... dei casini. |
Vasto, storie nel tempo:
Per
la... ricreazione del genere maschile
La
prima vicenda risale al 1932. Era infatti il 25
febbraio di quell'anno, undicesimo dell'Era Fascista, quando un tal Nicola
Ciffolilli, nato e residente a Vasto, su apposita carta bollata di
Lire tre, chiede all'allora Podestà, professor Pietro
Suriani (1883-1960, docente e poi
preside in istituti scolastici della Città. Combattente nella guerra
1915/18, mutilato di guerra. Fu podestà dal 1924 al 1933),
l'autorizzazione per l'apertura di un locale di meretricio nel rione
San Giacomo, in una casa di sua proprietà.L'istanza, corredata di certificato penale, dal quale risulta l'assenza di qualsiasi condanna a carico del richiedente, viene raccolta dall'Ispettore della Polizia Municipale e tramessa con urgenza all'illustre destinatario. La domanda non manca naturalmente di procurare imbarazzo a chi la legge e soprattutto di scuotere la sonnacchiosa quotidianità di un comune dove la maggior parte dei cittadini, borghesi, pescatori o contadini che fossero, è piuttosto restìa a tollerare una novità di quella portata, una casa di tolleranza! di cui si conserva uno sbiadito e fors'anche incerto ricordo collettivo risalente al secolo prima. La morale corrente cittadina porta ad escludere la presenza di locali peccaminosi di quel genere, che oltretutto ci son già sia a Termoli che ad Ortona, dove regolarmente si recano quanti hanno bisogno di "premure femminili". Non che la prostituzione fosse assente in città , ma il fenomeno è ristretto alla pratica che ne fanno poche povere disgraziate, spesso affette da sifilide o blenorragia; casi umani che suscitano più pietà che scandalo. La Città reagisce e si divide, come succede sempre in questi casi, mettendo in difficoltà l'Autorità chiamata a decidere, alla quale cominciano ad arrivare sollecitazioni da una parte e dell'altra. |
Don
Paolo Martone, (1890-1953, figura notissima per il carattere
franco ed aperto che lo ha reso protagonista di tante storielle di cui non
s'è persa memoria), impiegato comunale, noto per il suo carattere 'nu ccone
šcattàte,
rimette un salace, circostanziato promemoria (A.C.V. Prostituzione: pratiche
anni 1932-1935),
con cui sostiene a spada tratta il diniego al richiedente: - štu casëne 'n za da fa! - proclama e scrive con l'abituale piglio. Il Rione San Giacomo è completamente inadatto ad accogliere una casa di prostituzione, sia perché il rione stesso rappresenta un agglomerato di |
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famiglie
oneste e laboriose, sia perché offre al pubblico una delle migliori
e preferite vie di passaggio, sia soprattutto per la vicinanza che ha col
cimitero, luogo sacro ad ogni cittadino. Detta istituzione deve essere scoraggiata dal rappresentante della pubblica amministrazione per ovvie ragioni fisiologiche, igieniche e morali, con grande vantaggio della gioventù maschile e con incommensurabile prestigio, dignità della gioventù femminile, che non andrà più incontro a rapine o a contrattazioni di matrimoni forzati. La sede di detta istituzione, secondo il mio modesto parere, dovrebbe sorgere per rispetto ai buoni costumi dei nostri cittadini, in luogo non abitato, ma poiché essa risponde praticamente ad una grande massa di bisogni fisiologici, igienici e sociali, dovrebbe sorgere, tenuto presente il sito artistico, propriamente a fianco del cespo comunale costituito in contrada Tre Segni, più luogo incantevole tra il mare e la maestà della montagna. Personalmente faccio osservare che il Ciffolilli Nicola, d'ignota nascita e di mestiere vario, non dà alcun affidamento e nessuna competenza per il mantenimento e la buona direzione di una simile importante istituzione che richiede assolutamente un uomo energico-serio-non ignorante e profondo conoscitore dell'animo umano. Detta istituzione potrà attuarsi per mezzo di una pubblica asta o a trattativa privata con persone assolutamente competenti in materia. Il presidente di famiglia. Paolo Martone. Firmandosi come "presidente di famiglia" e dopo aver detto dell'aspirante tenutario tutto ciò che di male poteva dirgli, don Paolo si erge, dunque, a paladino della moralità pubblica e c'è da credere che sia stato egli stesso anche il promotore di una petizione al malcapitato podestà, dal quale si invoca, anzi si chiede tout court, il diniego alla richiesta del Ciffolilli (A.C.V Questo il testo della petizione: Ill.mo signor Podestà del Vasto. I sottoscritti abitanti del rione Santa Lucia, rivolgono rispettosa Istanza alla S. V. affinchè neghi il permesso per l'apertura di una casa di tolleranza in quel rione, ciò che costituirebbe uno scandalo per le famiglie oneste che vi abitano ed un'irriverenza per il Cimitero, il cui viale s'inizia a pochi passi dal rione medesimo. Con osservanza, ringraziano. Vasto, 28 novembre 1932, seguono le firme (125). |
Nel
generale putiferio provocato dalla richiesta e pur in presenza di una polemica
dai toni da Esercito della Salvezza, c'è tuttavia anche
spazio per i sostenitori della tesi contraria a quella così ben esposta
dai postulanti di don Paolo. Una relazione, in particolare, rinvenuta nell'Archivio Comunale, indirizzata allo stesso Capo dell'Amministrazione e classificata come "riservatissima", conferma questa circostanza, benché, abbia tutta l'aria d'essere un'iniziativa di qualche burlone in vena di prendere in giro la rigidità degli avversari, piuttosto che un rapporto commissionato da chi poteva avere interesse ad acquisire elementi di giudizio prima di formulare il parere richiesto. Ricorrendo ad immagini tratte dall'iconografia goliardica ed adoperando toni spiritosi, che non scivolano però mai nel "pecoreccio", l'ignoto autore fornisce il suo personale parere sulla vicenda relativa a quella che definisce '"Istituzione di un locale di ricreazione del genere... maschile". Rivolgendosi o facendo finta di rivolgersi al signor Podestà, così scrive: In adempimento dell'onorevole incarico ricevuto dalla S. V. Ill.ma di studiare l'opportunità della istituzione di un locale per la... ricreazione del genere maschile rassegno la seguente: |
Relazione
Studiati
i rapporti dell'Ufficio Municipale di Igiene da cui si rilevano i gravi
pericoli cui va incontro la gioventù la quale, priva attualmente
di possibilità di sfoghi naturali, allorché la pressione raggiunge
il limite massimo, deve dedicarsi al lavoro di segheria.Se da un lato tali lavori danno movimento industriale alla nostra città che ne è povera, d'altro lato essi debilitano la gioventù stessa. Si potrà giustamente obbiettare che la gioventù con tali lavori trae insegnamenti per tiri balistici; ciò è vero, però l'insegnamento è giovevole solamente a chi è dotato di spirito di osservazione ed è versato nei calcoli matematici. La massa di individui che si applica a tali lavori, nel momento dell'orgasmo ha ben altro che pensare a seguire la traiettoria di tiro. In un modo o nell'altro i tiri sono sempre a vuoto con la dispersione dei prodotti il che, oltre ad essere in opposizione ai principi economici, è in stridente contrasto con i sacri testi che ne fanno chiaro e reciso divieto precisando che il seme debba essere sparso in loco adatto. Il frequente arrivo nelle nostre città di compagnie teatrali, specialmente di operette e riviste, mette addirittura in fermentazione la nostra gagliarda gioventù, determinando gli immancabili contatti naturali e relative conseguenze postume di cui al rapporto dell'Ufficio di Igiene, che, con statistiche obbiettive e precise, dimostra il progressivo aumento di lavori di ricalibratura a cui vanno soggette le armi (idrauliche) della gioventù in parola. Dal punto di vista economico, dato che nel momemto attuale prevale la politica dei contingentamenti, si impone il divieto più assoluto della esportazione della moneta che la gioventù, uscendo dalla città nostra, spende in diversivi... piacevoli. A quanto sopra si aggiunga anche il mantenimento della tranquillità politica sociale della popolazione, la quale tranquillità viene, e potrà maggiorrnante essere turbata perdurando la mancanza del detto locale. Ed essendo la S. V. Ill.ma preposta, oltreché alla amministrazione della cittadinanza, deve preoccuparsi di tale fomite di disordini. Al fine di abbinare al soddisfacimento del vigoroso stimolo della nostra gioventù anche quelli estetici-panoramici e spirituali, sentiti anche i pareri degli Uffici Tecnico, Igienico e di Polizia Urbana nonché quello del Ramo Economico, per quanto riguarda il movimento stesso, ho scelto un locale adatto da cui si ha la piena visione paradisiaca del nostro incantevole mare. A nulla varranno le proteste dei vicini. |
La
storia, però, non finisce qui. Stordito dalle sollecitazioni in un
senso e nell'altro, il povero Podestà verosimilmente non decide o forse consiglia al Ciffolilli, di segnalare un luogo diverso da quello indicato, viste le proteste dei residenti. Sta di fatto che questi, in assenza di un qualsiasi provvedimento, sia di autorizzazione che di diniego, presenta per la seconda volta, il 25 febbraio 1933, l'anno dopo, un'analoga richiesta, indicando però, per mettere probabilmente alla prova la sincerità del Martone e del Suriani, la sede del "locale di meretricio" in via Tre Segni, in uno stabile "di proprietà della signora Smargiassi Maria, fu Luigi, composto di vani cinque". Stavolta è fatta, deve aver pensato, l'ingenuo, non sapendo che sulla sua strada si sarebbe trovato ancora una volta l'irriducibile difensore della moralità pubblica e delle virtù dell'astinenza e dell'amor coniugale; lui, sì proprio lui, don Paolo Martone, il quale torna a giocare con il "fautore" dell'apertura del casino, come fa il gatto con il topo. Don Paolo, presa carta e penna, scrive di getto su un foglio per minuta del Municipio la seguente nota a don Pietro il Podestà, ch'è anche il suo capufficio, avendo cura di adoperare stavolta toni più ironici, per evitare di incorrere nello sfottò del buontempone dell'anno precedente o di qualche "scapolone", e facendo appello al buoni sentimenti ed alla vanità fascista del suo interlocutore, ch'è combattente, mutilato di guerra e squadrista della prima ora. La lettera che scrive segna la fine di ogni illusione per il disgraziato che aveva avuto l'idea di aprire "il locale di ricreazione maschile". |
L'intraprendente
ed ostinato Ciffolilli, ormai noto a tutta la cittadinanza quale imperterrito
fautore della civile ed indispensabile istituzione di una "Casa
di Tolleranza" nel Vasto, questa volta si presenta più
agguerrito e sicuro per raggiungere il suo scopo, nobile dal punto di
vista sociale e sanitario, e, speculativo, pel proprio tornaconto. Pur
essendosi reso bersaglio del sesso gentile, non curandosi delle ire e
delle invettive della gioventù femminile, forte dell'approvazione
calorosa di tutti gli scapoli (non esclusi gli scapoloni), dopo
aver messo a soqquadro il pacifico Rione San Giacomo, questa volta, e
a dire il vero, con gusto artistico, ha scelto, per l'attuazione del suo
progetto, il delizioso e pittoresco Rione dei Tre Segni, ed all'uopo,
a mezzo di pubblico istrumento, ha già acquistato il fabbricato
occorrente. Il Ciffolilli non poteva scegliere un sito più incantevole
ed attraente; ma privo disgraziatamente di qualsiasi sentimento di moralità
ed inesperto conoscitore delle nostre bellezze panoramiche, non ha neppure
per un momento riflettuto, l'ignorante, che far sorgere un locale di meretricio
nella superba contrada dei Tre Segni significa vilmente contrastare con
un mirabile e riconosciuto progresso che l'Amministrazione fascista, in
soli pochi anni, con fede e con tenacia, ha saputo spiegare per la valorizzazione
della rinomata ed incolta Piana del Castello. |
La
vicenda finisce qui, almeno secondo quanto è possibile saperne
dalle testimonianze raccolte. La Casa di tolleranza non s'apre né in via Tre Segni, com'era nelle intenzioni di Nicola Ciffolilli, né nel "vicoletto" di Santa Maria, suggerito da don Paolo Martone, né altrove. |
E, occorre aggiungere, né allora né mai più. Ci sarà
di lì a breve, un altro tentativo, nel 1935,
tendente ad ottenerne l'autorizzazione all'apertura, su richiesta di tali
Pietro Marchesani e Angelo Di Memmo, "in via Canaccio",
(Chieti 16.2.1935 - XIII Urgente 18 Febbraio 1935 XIII 1156 di Protocollo
Cat. 19 Classe 4 Fasc.. 11 Regia Questura di Chieti N° 1839 3a. Signor
Podestà Et Signor Comandante e Tenenza CC.RR.Vasto. Marchesani Pietro
- Di Memmo Angelo: apertura di casa di meretricio in Vasto. I sopraindicati individui hanno fatto pervenire istanza a questo ufficio tendente ad ottenere l'autorizzazione per aprire in codesta Città una casa di meretricio in via Canaccio, proseguimento di via Croci 41, con due entrate, una delle quali in Vico Pincani. Prego la S. V. con dettagliato rapporto fornire informazioni sul conto dei richiedenti, e specialmente sulla opportunità o meno di assecondare la richiesta di cui trattasi anche in ordine alla ubicazione del locale prescelto ed alle famiglie che vi abitano di fronte ed a fianco. E poiché contro l'apertura di detto locale sono pervenute numerose proteste, si prega anche di far conoscere quali attendibilità si debba loro attribuire, (Il Questore). Anche questo tentativo rimarrà senz'alcun esito, nonostante la buona condotta dei promotori e la presenza, a detta dell'Autorità comunale di "molteplici inconvenienti igienici causati dalla mancanza di una casa del genere, e precisamente la grande diffusione, specie tra i giovani del popolo di malattie celtiche". |
Il
Podestà stavolta, sulla scorta dell'esperienza e dei grattacapi passati,
benché spinga a dichiararsi favorevole "in linea di massima",
si trincera diplomaticamente dietro ragioni di inadeguatezza strutturale
dell'edifìcio indicato e di inopportunità ambientali. Senza
neanche l'assist provvidenziale di don Paolo Martone, "presidente
di famiglia". Un burocratico, inappellabile suggerimento a che
"gli istanti, qualora persistano nella loro richiesta, debbano
essere invitati a scegliere altro locale", chiude definitivamente
il capitolo relativo ai casini. Almeno a quelli intesi come case di tolleranza.
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stralcio
da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2008 |
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